Il Diritto di Famiglia

RICONOSCIMENTO DI MATERNITA’ E PATERNITA’

Il Riconoscimento è un atto con il quale i genitori si attribuiscono la maternità o paternità di una persona creando un rapporto giuridico con la stessa. La Legge n. 219 del 10 dicembre 2012 "Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali", ha stabilito il superamento di ogni ineguaglianza normativa tra figli legittimi e figli naturali in virtù del principio dell'unicità dello status di figlio. Ora grazie al riconoscimento, un fatto puramente naturale quale la nascita di un figlio al di fuori del matrimonio, viene trasformato in atto idoneo a produrre rapporti giuridici tra il genitore che effettua il riconoscimento e il figlio riconosciuto. Pertanto i figli nati fuori dal matrimonio, equiparati a tutti gli effetti ai figli nati in costanza di matrimonio, possono godere di un normale rapporto di parentela con i parenti del genitore da cui sono stati riconosciuti (artt.74 e 258 c.c.) compresi i diritti ereditari e di mantenimento. Invece l’art. 250 v comma c.c., ha introdotto un limite al divieto di riconoscere un figlio da parte dei genitori con meno di 16 anni di età e infatti adesso è prevista la possibilità che il giudice, valutando le circostanze e considerando soprattutto l’interesse del figlio, autorizzi il minore degli anni sedici al riconoscimento.

Nel caso in cui, invece, il riconoscimento riguardi figli nati da rapporti incestuosi l’art.251 c.c. prevede che spetterà al giudice, sempre con riguardo al superiore interesse del minore, consentire il riconoscimento attenendosi al principio che i figli sono tutti uguali, e quindi che il riconoscimento non può più essere precluso per una condizione giuridica del figlio, oppure derogare a tale principio nel caso specifico, per non provocare un effetto negativo sul minore contravvenendo così alla ratio a cui la legge 219/2012 si ispira. Tale valutazione relativa alla prevalenza dell’interesse del minore spetta al Tribunale per i minorenni. Quando nasce un bambino i cui genitori sono uniti fra loro da un matrimonio valido agli effetti civili, la denuncia di nascita può essere fatta indifferentemente dalla mamma o dal papà. Quando, invece, il bambino nasce da genitori non sposati è necessario che, venga riconosciuto da entrambi, ai fini dell’ attribuzione della maternità e paternità, mediante l'atto di riconoscimento o la dichiarazione giudiziale da parte del Tribunale a seguito di procedimento attivato dalla parte interessata.  Il figlio nato fuori dal matrimonio può essere riconosciuto da uno solo o da entrambi i genitori congiuntamente al momento della nascita. Se al momento della nascita il bambino, sia stato riconosciuto da un solo genitore, sarà sempre possibile, in futuro, il riconoscimento da parte dell'altro  con apposita dichiarazione successiva alla nascita davanti all'Ufficiale dello Stato Civile, al Giudice Tutelare o ad un Notaio per Atto Pubblico o Testamento. Se il figlio riconosciuto ha compiuto il quattordicesimo anno di età, deve dare il suo assenso al riconoscimento. Quando, invece, il figlio riconosciuto è minore degli anni 14, il genitore che per primo lo ha riconosciuto deve esprimere il suo consenso al riconoscimento successivo da parte dell’altro. In ogni caso, costituisce oggetto di tutela esclusivamente l’interesse del minore.

Il nostro codice prevede la possibilità che si possa agire giudizialmente per ottenere un provvedimento che abbia gli effetti del riconoscimento. In questo caso l’azione può essere promossa dal figlio e se questi muore prima di averla iniziata, essa può essere promossa dai discendenti entro due anni dalla morte. Il procedimento agisce contro il presunto genitore o i suoi eredi. In mancanza di costoro, l’azione è proposta nei confronti di un curatore, nominato dal Giudice, dinanzi al quale il procedimento deve essere avviato.

E’ importante sottolineare che la sentenza che dichiara la sussistenza del rapporto di filiazione produce gli effetti del riconoscimento. Nel caso di riconoscimento di un figlio nascituro, cui si ricorre quando i genitori al momento della dichiarazione di nascita non possano essere entrambi presenti oppure nel caso esercitino professioni pericolose, il riconoscimento può essere effettuato da parte della madre o di entrambi i genitori prima della nascita. Quando il bambino non venga riconosciuto dai genitori, la dichiarazione di nascita verrà resa da chi ha assistito al parto e il cognome viene attribuito dall'ufficiale di Stato Civile che deve seguire le indicazioni e i limiti indicati dall'ordinamento vigente. 

La nuova nozione di abbandono del minore, disegnata dall’art.315 bis c.c., introdotto anche questo dalla legge 219/2012, prevede un rafforzamento del diritto del minore ad essere “istruito e assistito moralmente dai genitori” pretendendo quell’assistenza morale come termine di valutazione, per la famiglia di origine, ancora più determinante per la dichiarazione di adottabilità del figlio da parte del Tribunale dei minori. E’ previsto inoltre che il Giudice segnali ai Comuni “le situazioni di indigenza di nuclei familiari che richiedono interventi di sostegno per consentire al minore di essere educato nell’ambito della propria famiglia”. Pertanto anche lo Stato, le Regioni e gli Enti locali sono chiamati ad attivarsi per sostenere i nuclei familiari in difficoltà nel tentativo di arginare possibili fenomeni di abbandono o di degrado sociale che non potranno, però, costituire un ostacolo al diritto del minore di vivere nella propria famiglia. 

Per quanto concerne l’attribuzione del cognome, quando ad effettuare il riconoscimento è un solo genitore (generalmente la madre), al figlio verrà attribuito il suo cognome.

Se invece il riconoscimento viene effettuato da entrambi i genitori al momento della denuncia di nascita, il cognome attribuito sarà quello del padre, salvo richiesta da parte degli stessi di attribuzione anche del cognome materno in aggiunta a quello paterno. 
Se il figlio viene riconosciuto prima dalla madre e solo successivamente dal padre, acquisisce al momento della denuncia di nascita il cognome materno. 

Il successivo atto di riconoscimento paterno è determinante ai fini dell'attribuzione del cognome, ma lo è altrettanto l'età del figlio:

  • se il figlio è minorenne il cognome viene deciso dal Tribunale Ordinario competente per territorio e la richiesta al giudice ordinario di attribuzione del cognome, conseguente al successivo riconoscimento paterno del minore, deve essere inoltrata dagli stessi genitori;
  • se il figlio è maggiorenne può scegliere se assumere il cognome del padre in aggiunta a quello della madre, assumere il cognome paterno in sostituzione di quello della madre o mantenere quello della madre.

La locuzione latina “mater semper certa” può essere completata da “pater numquam”. A differenza della madre che può essere conosciuta definitivamente, invece la paternità non è così incontrovertibile. L’art. 243 bis c.c. disciplina infatti, il Disconoscimento di paternità. In diritto si collega la nascita di un figlio a una madre solo per il fatto naturale del parto. Per il padre, invece, nonostante le innovative tecniche di comparazione del sangue e del DNA, opera una presunzione di paternità di trecento giorni. Se, per esempio, avviene una separazione tra due coniugi e questi non vivono più insieme, un figlio nato trecento giorni dopo tale momento (il giorno della separazione fisica dei due) non si presume legato al marito. Comunque dal 1978, anno in cui ci fu la prima fecondazione in vitro, il principio del "mater semper certa" non viene più applicato perché un bambino può avere una madre genetica diversa da quella che l'ha partorito. La nota espressione latina, in ambito giuridico, ci dice come sia più semplice dare la prova della maternità rispetto a quella della paternità. Il criterio generale è quello secondo cui la prova può essere data con ogni mezzo. La legge precisa che la sola dichiarazione della madre e la sola esistenza di rapporto tra la madre e il preteso padre all'epoca del concepimento non costituiscono prova della paternità naturale.      Infatti per la paternità, al criterio generale che si basa sull'onere di fornire prova positiva, la legge aggiunge: non bastano né la dichiarazione della madre, né la sola esistenza di rapporti tra la madre e il presunto padre all'epoca del concepimento, ma può darsi con qualsiasi mezzo. L’esistenza di situazioni come stupro, ratto, convivenza, possesso di status di figlio naturale, accertamento avvenuto con sentenza... hanno grande peso nel convincimento probatorio, ma  la prova può essere data anche su altri presupposti. La paternità o maternità naturali possono essere giudizialmente  dichiarate solo nei casi in cui sarebbe ammesso il riconoscimento; le indagini sono vietate se tendono all'accertamento di una procreazione incestuosa, fatta salva l'ipotesi di ratto o violenza carnale. Le azioni possono essere proseguite solo se subordinate all'interesse del minore, a condizione che non venga a turbare la qualità e gli equilibri raggiunti per conseguire un peggioramento senza motivi. 

L’azione per il disconoscimento può essere proposta non solo dal marito, ma anche dalla madre e dal figlio. Ne è escluso, invece, il padre naturale. Il ricorrente deve provare che non sussiste rapporto di filiazione tra il figlio e il presunto padre. Sono, invece, venuti meno i tradizionali presupposti previsti dalla precedente disciplina al fine di instaurare l’azione, ossia, la mancata coabitazione fra i coniugi, l’impotenza e l’adulterio.

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