STALKING GIUDIZIARIO

Il reato di “Atti Persecutori” (ex art. 612 bis c.p.) può sfociare nell’aggravante dello stalking giudiziario, quando il persecutore agisce contro la sua vittima anche in Tribunale ricorrendo ad azioni civili, penali o amministrative. In questo caso lo stalker, vigliaccamente, si “traveste” da vittima e porta avanti false denunce contro il suo perseguitato trascinandolo davanti al Giudice e facendosi, così, autore di 3 tipologie di danno :

  1. psicologico,
  2. d’immagine,
  3. giudiziario.

Anche se le pene previste sono quelle dell’art.612 bis c.p., tuttavia si ritiene che nel caso in esame, il reo dovrebbe essere punito più severamente, in considerazione del fatto che ricorra alla calunnia (ex art. 368 c.p.) per trarne un vantaggio personale ed inoltre, altrettanto gravemente,  provochi un carico processuale causando un inutile “intasamento” delle aule dei tribunali e una perdita di tempo alla giustizia!

In Italia la prima condanna (in primo grado) per stalking giudiziario è stata emessa dal Tribunale di Monza, quando quest’ultimo ha inflitto la pena di 4 anni di reclusione e 5 di interdizione dalla professione, ad un avvocato di Usmate Velate (Monza), per aver compiuto atti persecutori nei confronti di un imprenditore brianzolo, suo ex assistito. Dalle indagini è emerso che, a partire dal 2011, anno in cui l’imprenditore aveva posto fine al loro rapporto professionale, lo stalker giudiziario avrebbe cominciato a perseguitare il suo ex cliente e i suoi familiari, trascinandoli in più di 200 cause penali e civili. "Con il ricorso sistematico e strumentale ad incessanti e infondate azioni giudiziarie", specifica il capo d’imputazione, il legale "arrecava molestie ai predetti, costringendoli a modificare le loro abitudini di vita ed esponendoli a continue spese processuali e a gravi ricadute sul piano dell'immagine professionale e personale".

Il ricorso alla giustizia diventa “fuorilegge”, ogni volta che lo stalker perseguita la sua vittima con reiterate denunce, nel tentativo di ottenere la cancellazione del divieto di avvicinamento emesso nei suoi confronti. E proprio questo tentativo di “difesa” da parte di uno stalker giudiziario è stato smascherato dalla Suprema Corte con la sentenza n.50438 del 6 novembre 2017.

CASO

La vicenda riguarda una lite tra vicini per l’uso esclusivo di una strada, sfociata in un contenzioso legale. Ma fuori dell’aula di giustizia, uno dei litiganti, per impedire l’utilizzo della strada alla controparte, aveva posto in essere numerosi atti persecutori : “ ha imbrattato le pareti antistanti le abitazioni con vernice, scaricato letame, sparso chiodi, collocato massi nella parte antistante il cancello per limitare o ostruire il passaggio, fino ad aggredire, verbalmente e fisicamente, i coniugi P. e F., in un’occasione provocando le lesioni personali”. Tali condotte, riconosciute in giudizio come “sistematiche e varie”, avevano legittimato il divieto di avvicinamento nei confronti dello stalker. Pertanto la Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile respingendo la richiesta di annullare il divieto di avvicinamento avanzata dallo stalker, ritenendo che i suoi comportamenti “non sono fatti episodici e isolati ascrivibili a modeste questioni di cortile tra vicini”, anche prescindendo dall’esistenza dello stalking giudiziario. Tale condotta “connota la fattispecie incriminatrice di cui all’art. 612 bis c.p., la cui sussistenza, nella valutazione di gravità indiziaria, non è stata affermata soltanto sulla proposizione reiterata di denunce ed esposti (il c.d. "stalking giudiziario"), bensì su condotte persecutorie ben più pregnanti”.

 

Fonti :

(ANSA-Monza 19/06/2020 h16.14)

CASSAZIONE n.50438/2017

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